Uriel Crua
Ci si avvicina a passi da gigante verso l’accettazione, l’introiezione, l’assimilazione collettiva di paesaggi urbani del tipo distopico: le “smart cities”.
Il Pass corporeo, già largamente introdotto e accettato durante la messinscena pandemica, apre a nuovi meccanismi di premialità con le “scatole nere” da installare sui propri veicoli “inquinanti” per poter circolare nelle città.
A giudicare dai chilometri annui “concessi” installando questi dispositivi di controllo, non cambia affatto il presunto livello di inquinamento delle città, anzi.
Ma cambia – come al solito – il livello di controllo che il cittadino è disposto a subire da parte delle autorità.
Esattamente come il Pass corporeo non andava a cambiare nulla dal punto di vista sanitario: anche lì, si trattava di un orpello da sorveglianza.
L’immagine dorata, metallica e funzionale delle nuove venture “città intelligenti” si traduce così in nient’altro che massificazione del controllo e aggregazione di dati a disposizione dei sorveglianti per poter gestire al meglio le greggi, con fortissime probabilità di esclusioni, discriminazioni, ghettizzazioni.
Le città intelligenti non saranno nicchie hi-tech funzionali alla popolazione, alla gestione del quotidiano e al miglioramento della qualità della vita, ma enormi bunker-prigione a loro volta suddivisi in zone più o meno accessibili sulla base delle premialità, ovvero della disposizione del singolo cittadino di accettare gradi di controllo sempre maggiori, pena l’esclusione.
Con una sapiente grammatura di propaganda e creazione del bisogno, i sorveglianti stanno indirizzando le mandrie dentro nuovi recinti.
L’unico modo per arrestare il processo è quello di rifiutarsi di eseguire, anche e soprattutto al costo di vedere sacrificata adesso la qualità della propria vita, senza rimandare a domani.
Perché domani sarà già tardi.
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